Sette anni fa, in una calda mattina di fine giugno, senza dire nulla a nessuno di dove mi stessi recando, partii da Olbia ed andai a Lula ad intervistare Matteo Boe, scarcerato il giorno prima dopo 25 anni trascorsi nel carcere di Opera.
Boe era colui che tra le altre cose era accusato di aver tagliato l’orecchio al piccolo Farouk Kassam, che allora aveva sette anni, nel corso del suo sequestro in Sardegna del 1992, per inviarlo alla famiglia del bambino come segno del fatto che il piccolo fosse vivo, per avere dai genitori il pagamento del riscatto per liberarlo. Ma a me qui non interessa parlare degli eventuali reati del padre, mi interessa parlare di Luisa.
Arrivai all’ora di pranzo. Bussai alla porta di casa sua e mi aprì un ragazzo che presumo fosse suo figlio. Mi presentai, dissi che volevo intervistare il padre. “Qui non abita nessun Matteo Boe”, rispose e mi disse di rivolgermi alla porta accanto.
Bussai nell’altra porta e mi aprì un’anziana, che mi dissero essere poi la madre di Boe. Parlai con la donna e mi disse che non volevano rilasciare interviste.
Accettai serenamente la loro decisione e mentre ero lì, in quel vicoletto di un paesino della Barbagia, a pochi passi da colui che era considerato uno dei più famosi banditi sardi ( non per me certamente pericoloso ), voltai lo sguardo e vidi il luogo del delitto della piccola Luisa Manfredi, allora 14enne, avvenuto 20 anni a ieri, il 25 novembre 2003.
Luisa venne uccisa a fucilate, sul terrazzo di casa, mentre stendeva il bucato. Per errore. Pare.
Vidi il murale che i lulesi, persone che da sempre mi avevano accolto con generosità ed ospitalità ogni volta che avevo avuto modo di visitarli, avevano dedicato a questa bimba dal viso angelico, morta per mano di assassini.
Morta da innocente. Una delle più giovani vittime di omicidio della storia nella nostra isola.
Pensai al dolore immenso, lacerante, di quelli che ti squarcia il cuore e ti penetra le viscere e resta lì tutta la vita, che quella morte aveva scaturito in quel padre ed in quella madre. Nella sorellina, nel fratello, nella comunità.
E non te ne dai una ragione. Non c’è una ragione, se non il vile tentativo di vendetta o di provocazione di qualcuno nei confronti di Matteo, in virtù di regolamenti di conti dettati dalla balentia, quella becera e senza signicante né significato, che dai tempi che furono ancora oggi in certi luoghi vive.
Ieri era la giornata internazionale della violenza sulle donne. Lo sapevo perfettamente ma a me non interessava scrivere questo ricordo di Luisa, in una giornata nella quale tutti se ne ricordano. Mi interessa porne l’accento quando il mondo se ne dimentica.
Quando su quelle violenze quotidiane cala l’oscurità e l’oblio.
Luisa, Anghelu in Chelu, deo pesso chi tue sias propriu s’emblema de custa violenza e ispero chi nessi inue ses oe, tue pottasa aere agattadu sa paghe.